L’urlo nella comunicazione ambientale genera mostri

È un dato di fatto ormai: l’informazione sembra dover essere a tutti i costi gridata, urlata, rabbiosa, altrimenti, secondo i parametri stabiliti dall’audience politico-mediatica, non arriva, non filtra nella generale entropia, nel caos di notizie che bombardano il cittadino-ascoltatore.
Ma il cittadino ascolta davvero? Comprende, capisce il messaggio? E soprattutto, quali sono i comportamenti e i modelli che si trasmettono ad una generazione disorientata e frastornata? Nella comunicazione ecologica, intendendo quella parte dell’informazione che si occupa di tematiche ambientali, il caos generato dai messaggi trasmessi da una piattaforma mediatica sempre più invasiva è orribile e devastante per i suoi effetti.
La strumentalizzazione e la confusione generata dalla mancanza di una informazione corretta e verificata produce, infatti, l’impossibilità di incidere nella programmazione di azioni di pianificazione territoriale per la tutela e salvaguardia di ecosistemi fragilissimi. 

La rivolta dell’acqua, la testimonianza di Assunta Marra

Pensiamo al caso dell’Appennino meridionale, in particolare ai Monti Picentini, al Sannio, all’oramai devastata Lucania, a tutte quelle aree interne, insomma, in cui il serbatoio politico dei voti è ininfluente e che sono viste, a livello centrale, come opposte e non complementari alle aree metropolitane, non considerando l’importanza delle risorse naturali della montagna, fonte di vita, serbatoio, più importante dei voti, di acqua che disseta milioni di cittadini metropolitani nel meridione. Circa il 10% della popolazione italiana meridionale dipende solo dalle falde acquifere dei monti Picentini e del massiccio del Partenio. In Irpinia, in particolare, è in atto una aggressione alle risorse naturali che viene denunciata da tempo da associazioni e comitati, ma con quale efficacia?
Molto spesso la disinformazione si genera inconsapevolmente. L’entusiasmo dei cittadini che si ritengono attivi si trasforma in rabbia, in atti comunicativi nichilisti, autolesionisti. Successivamente. ma anche parallelamente, per alcuni l’attivismo diventa occasione di passerelle autorappresentative e di momenti di visibilità propedeutici al passaggio alla scena politica, per altri c’è la strada della delusione e fuoriuscita dalla vita associativa. La storia recente e passata insegna: generare contenuti di controinformazione emotiva o disinformazione non verificata, anche se in buona fede, ripaga sul breve termine andando a cogliere gli istinti primari di una minima parte di popolazione già sensibilizzata, ma allontana una larga fetta di cittadini sia per i tecnicismi dell’informazione dei comitati, spesso autoreferenziali, sia per la generale apatia e individualismo che si traducono in momenti di fastidio generale nel sentire parlare di bene comune.
La rivolta spontanea o indotta, il ribellismo autarchico, storicamente contraddistingue il meridione. Oggi la rivolta deve trasformarsi subito in rivoluzione, ma non nel senso apocalittico e conflittuale del termine, bensì nell’evoluzione e cambiamento dei comportamenti, nella necessità di cogliere momenti di sconforto, crisi, come attimi di passaggio, in cui prendere atto che i dinosauri dell’economia globale si dibattono menando fendenti micidiali ad ecosistemi ambientali già compromessi. E’ necessario, perciò, considerare la possibilità di azioni alternative alla lotta codificata sia in termini politici che associativi e spostare l’asse della comunicazione in termini biopolitici, di rappresentazione popolare, culturale, visiva, di corpi e terra e generare da subito occasioni di economia sostenibile, blue.
La terra è stanca e il re è nudo. Sviluppiamo sistemi inclusivi delle parti più marginali, di quella popolazione che soffre, creiamo sistemi che si auto-organizzano, non con modalità ecumeniche e generalizzanti, rivelatesi perdenti, ma partendo da chi ha cuore e voglia di resistere. Ripartendo solo da chi ha voglia di applicare concetti interattivi e di rete come resilienza, permacultura, filiera corta, baratto, per arrivare ad una economia di scambio e di produzione sostenibile basata sui valori della tradizione, innovazione, cultura. Difendiamo la terra e l’acqua non tanto con la lotta di classe, antisistemica, politica o giudiziaria – perché, tanto, siamo tutti nella stessa barca semisommersa – ma con l’amore, la consapevolezza, l’educazione ambientale, la speranza, la lenta costruzione e il passo della tartaruga. Produciamo contenuti autorevoli, studi approfonditi, analisi appropriate, ipotesi e proposte di soluzione concrete, fattibili, standardizzabili, replicabili. La nostra arma migliore, citando il monaco zen Thich Nhat Hanh, sia la pace, il nostro metodo sia la rivolta interiore, la rivoluzione sociale, il cambiamento. Raccogliamo le ultime forze che ci restano e proponiamo modelli alternativi, non rientriamo in facili schemi di contrapposizione che risultano perdenti nel breve come nel medio termine. E’, oramai, una questione di sopravvivenza, non possiamo più gridare per essere ascoltati. Ascoltiamoci, fermiamoci e poi diventiamo agenti del cambiamento noi stessi, senza delegare o aspettare ordini dall’alto. La storia insegna la ciclicità, ma ci sono momenti in cui il cerchio del popolo si spezza e bisogna ricomporlo partendo solo da chi ha davvero voglia di farlo, in piccolo, senza badare all’istituzionalizzazione delle istanze, ma alla verità dei bisogni. Non ho la pretesa di giudicare altri sistemi che si sono organizzati e che procedono lungo la loro strada come draghi sputafuoco, non ho la presunzione e l’incoscienza di sfidarli sul loro stesso piano, sono consapevole della mia fragilità e del loro imbarazzo, ma il mio obiettivo è camminare insieme, lavorare con, non contro, altrimenti, facilmente, perderemo la consapevolezza dei nostri giorni e dimenticheremo gli insegnamenti dei giorni passati. Nonostante tutto ci saranno molti nemici in questa via, ma alcuni amici basteranno a riscaldarci, ora che l’inverno è arrivato.

N.B. Nel video la testimonianza di Assunta Marra, una donna irpina che nel 1983 assieme ad altre 17 donne è andata in galera un giorno, per difendere l’acqua del loro paese, Sorbo Serpico. Dopo anni di un processo ingiusto quanto il loro arresto avvenuto durante la notte, strappandole ai figli, sono state pienamente assolte.

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