La favola dell’uccello pavone racconta: la terra è stanca

Il 7 dicembre, alle ore 17.30, presso il Circolo della stampa di Avellino, si inaugura la mostra di Giovanni Spiniello “La favola dell’uccello pavone racconta: la terra è stanca” che durerà fino al 18 dicembre. All’entrata l’artista accoglierà con l’installazione dell’Uomo Sedia i lavoratori dell’Irisbus, le associazioni e i partecipanti alla “La vita non la tieni cchiù” che risponderanno alla “chiamata” – l’antico canto suonato ai tempi delle cinque guerre nazionali in cui lottarono e morirono i contadini meridionali – che accompagnerà una marcia silenziosa che parte dalla Villa comunale e arriverà alla fine di Corso Vittorio Emanuele. Lo Spirito del Re Albero si trasforma per accogliere i lavoratori – a un anno dalla chiusura dell’Irisbus – e chiede una pausa di riflessione prima di intraprendere il lungo cammino che li porterà, in più tappe, alla Giornata del Silenzio il 22 dicembre.
La funzione dell’arte nel sociale, dell’arte come strumento collettivo non solo di denuncia, ma anche di spazio di costruzione comunitaria è una strada che Giovanni Spiniello persegue dagli anni ’60 e che ha scelto di percorrere coniugando sperimentazione e tradizione e accostando le favole e il mondo contadino della sua Irpinia ai temi della denuncia sociale e ambientale. «Tanto tempo fa – racconta l’artista – un re aveva quattro figli e il più piccolo era considerato il bonaccione della famiglia, Michele, ma era anche il più gentile d’animo. Il padre prima di morire chiamò i figli e disse: “chi mi porterà la piuma d’oro dell’uccello pavone sarà quello che avrà il mio regno quando sarò morto”. Per cui i figli partirono e si addentrarono in un bosco e ognuno prese la propria strada con l’intento poi di ritrovarsi nello stesso luogo. Fu Michele a trovare l’uccello pavone e a staccargli la piuma d’oro. Quando si presentò all’appuntamento i fratelli decisero, con un solo sguardo, di ucciderlo e di nasconderne il cadavere. I tre principi portarono al padre la piuma d’oro e il mantello insanguinato del fratello accusando i lupi dell’omicidio. Il re non poté fare altro che affidare il regno ai suoi tre figli e si chiuse in un silenzio che durò anni e anni. Un giorno, mentre era a caccia con i principi e tutta la corte, il cane del figlio ucciso trovò un osso e lo portò al padre. Era l’osso di Michele che incominciò a parlare e disse: “Pe na penna r’auciello pavone fratito è stato lo traditore”. E’ una vecchia favola, ma è ancora attuale, perché parla dell’avidità e dell’inconsistenza del desiderio per chi subisce il fascino dei beni materiali» . “L’uccello pavone racconta: la terra è stanca” è un titolo che si interroga sul tradimento dell’amore fraterno in chiave onirica e mantiene su un piano separato, distaccato, attraverso favola e gioco, il dolore e la sofferenza. Ma è anche l’interpretazione dell’ultimo ciclo “la terra è stanca” che evidenzia la terra abusata, diserbata, maltrattata e, quindi, tradita, anch’essa, dall’amore dell’uomo attraverso sperimentazioni materiche e incontri di colore al limite del barocco. Il tradimento dei sogni, delle speranze, del quotidiano è lo stesso tradimento che subisce l’uomo comune che accusa la mancanza e l’assenza di amore, di dolcezza, del sentimento comunitario e di appartenenza; riflette un momento di trasformazione in cui la società si sgancia dai singoli abbandonandoli al proprio destino. In questo vuoto esistenziale e di valori, l’artista si inserisce con una speranza di cambiamento, il momento dell’accoglienza dell’installazione e l’adesione convinta alle tappe di preparazione per la Giornata del Silenzio dell’Irisbus sono l’attimo più significativo in cui le favole prendono vita e l’uccello pavone sussurra a chi è seduto in alto che si tradiscono i fratelli, si tradiscono i lavoratori, si tradisce la terra.
La favola dell’uccello pavone racconta: la terra è stanca

Un pensiero su “La favola dell’uccello pavone racconta: la terra è stanca”

  1. Ecco una bella variante di Francesco Buccino, da facebook. “A Bagnoli, dal racconto di mio nonno, rimembrando c’è la seguente variante: è un “porcaro” a ritrovare l’osso e ne fa un flauto da cui la cantilena “caro porcaro ca’ mocca m’tieni, tien’m strittu e nun’m lassà… Aggiu truato la penna r’uccello pavon’, i miei fratelli traditor, uno m’teneva e l’ato m’accireva”. La favola finisce che il padre disereda i figli e fa sposare la figlia col “porcaro””.

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