Alta Irpinia: latte nobile e fieno di alta qualità. Una alternativa di sviluppo credibile

Mucche Azienda Serroni Ciccarella

Dal 18 al 21 settembre il Consorzio Formicoso Alta Irpinia sarà a «Cheese», Fiera internazionale del Formaggio che si tiene a Bra in provincia di Cuneo. Nello stand FAI del Latte nobile si degusterà la pasta prodotta con l’antica varietà di grano Senatore Cappelli, sarà presentato il progetto GranFora e si illustrerà il modello organizzativo e di filiera del Latte nobile.

In Alta irpinia 28 aziende, tra produttori cerealicoli, di fieno e aziende lattiero casearie, danno vita a un sistema integrato e sinergico che valorizza la vocazione all’agricoltura sostenibile e di alta qualità di queste terre. Già nel 2008, mentre decollava il primo presidio Slow Food a Castelpagano, il Gal Cilsi e Roberto Rubino, presidente Anfosc, Associazione Nazionale Formaggi sotto il Cielo, e ideatore del Latte Nobile, si sono incontrati dando vita poi a una stretta collaborazione supportata dall’Assessorato all’Agricoltura della Regione Campania. In Alta Irpinia sono due le aziende lattiero casearie – Vincenzo Ciccarella e Giannetta Gerarda di Bisaccia –  ad aver già ottenuto il disciplinare Latte Nobile, mentre altre tre sono in procinto di conseguirlo. Oggi la rotazione colturale di grano duro Senatore Cappelli con erbe da foraggio è una realtà, con il progetto GranFora, ed è ormai pronta ad avviarsi una vera e propria Borsa del fieno in cui, finalmente, verranno valorizzati i prodotti legando il prezzo alla qualità.

Pascolo Bisaccia Ciccarella

Ma cosa è il Latte nobile? «E’ un modello di sviluppo lattiero caseario – afferma Rubino –  sostanzialmente antitetico alla grande distribuzione. In pratica la qualità del latte dipende da cosa mangia l’animale e, naturalmente, se l’animale mangia bene il latte sarà migliore. Oggi è come se ci fosse un solo tipo di latte nel quale confluiscono tutti gli altri miscelandosi e il prezzo nazionale viene stabilito a tavolino. Non c’è il latte del territorio e chi fa un pessimo latte – l’alimentazione delle mucche da latte è qualcosa di aberrante – ci guadagna, mentre, chi lavora per un prodotto migliore, non ottiene il giusto riconoscimento».  Gli studi di Rubino hanno dimostrato che la qualità del latte dipende dalle erbe che mangia l’animale e la quantità di latte prodotto è inversamente proporzionale alle erbe che mangia: più erba mangia, meno latte produce e migliori saranno le qualità aromatiche e il rapporto grassi saturi/insaturi. «Il rapporto Omega 6/ Omega 3 – continua Rubino – che, come raccomanda la FAO deve essere sotto il 5 e nel latte industriale può anche essere superiore a 7, nel nostro disciplinare è sotto 4. Carica batterica, grasso, cellule somatiche, non hanno a che fare con la qualità, anzi c’è quasi una relazione inversa, ciò che conta è la complessità aromatica e nutrizionale. Il nostro è il latte di una volta, quello di quando gli allevatori conoscevano le mucche e sapevano cosa gli davano da mangiare». Il caso delle quote latte, il latte in polvere nei formaggi, gli alti costi e i bassi ricavi. C’è bisogno di un altro modello economico, soprattutto per i piccoli allevatori.

«Il Latte nobile – conclude Rubino – è un modello economico in cui ci guadagna l’allevatore e il consumatore. Per fare un grande vino devi abbassare la resa per ettaro, lo stesso vale per il latte che, nel nostro caso, al consumatore costa circa 40 centesimi in più, di cui la metà va all’allevatore. Ma, per stabilire un parametro ancora più esatto, il prezzo varierà in funzione delle erbe che compongono il fieno. Oggi sono scomparsi i pascoli naturali, i prati, l’erba non ha le stesse caratteristiche di una volta, per questo bisogna insistere sul fieno, per ristabilire quell’equilibrio naturale che è la vera garanzia di alta qualità».

Da Il Mattino del 18 settembre, di Virginiano Spiniello
Foto di Angelo Ciccarella dell’Azienda Serroni di Bisaccia

mattino

CheeseFai2015

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