L’azienda, a conduzione familiare, è piccolissima, circa 20 ettari tra terra di proprietà e in affitto, soprattutto pascoli, nei quali le mucche sono allo stato semibrado. Solo nei mesi più freddi gli animali vengono alimentati da foraggio prodotto nei campi, mai con mangime acquistato, ma con fieno di erba medica e graminacee e la mungitura, come da protocollo, avviene sempre nella stalla alle cinque del mattino e al calare del sole.
I prodotti del piccolo caseificio artigianale, esclusivamente con latte proprio, sono il caciocavallo dei Picentini – per il quale Ferdinando ha una nicchia di clienti affezionati e che stagiona personalmente in cantina – e formaggi vari: ricotta, trecce, nodini, mozzarelle e scamorze. «Dopo aver ottenuto l’autorizzazione dall’Asl – afferma Ferdinando – stiamo diversificando la gamma di offerta dei prodotti con i fagioli quarantini, prodotto tipico di Volturara Irpina e con patate che presto saranno in vendita. Seminiamo e raccogliamo a mano, la terra è già fertile, quindi non usiamo alcun tipo di concime, se non la naturale letamazione e la rotazione delle colture. A maggio piantiamo i fagioli, uno a uno, e li raccogliamo a mano a fine estate, poi si fresa la terra e si semina segale e triticale, pronta per la primavera. E di nuovo, dopo la fertilizzazione naturale, si ricomincia, con una nuova semina di patate». E’ un ciclo continuo, è la natura che si rinnova e Ferdinando e sua moglie Adriana lavorano la terra con amore e affetto; forse non sanno cosa è l’agricoltura sinergica o la permacultura, ma applicano istintivamente e naturalmente i concetti del tempo e delle stagioni, dimostrando che anche in Irpinia, in un territorio complicato e sofferente dal punto di vista ambientale come i Picentini, sono ancora presenti contadini, più che imprenditori, che svolgono con amore il ruolo di custodi della terra rispettandola, senza bisogno di corsi di formazione e non avvalendosi di concimi chimici e diserbanti, ma lasciando al tempo e alla rotazione la crescita delle piante e l’alimentazione degli animali. «I nostri pascoli – continua Ferdinando – presentano già le caratteristiche dell’agricoltura biologica; la scelta delle mucche è funzionale a migliorare il prodotto bilanciando varietà come la Jersey, che ha una resa qualitativa e un rapporto grasso/proteine simile alla bufala, con il latte più delicato di Pezzate rosse, Brune alpine e Frisone italiane». «Aderiamo, inoltre, – conclude Adriana, ombra e sostegno di Ferdinando – all’Associazione allevatori Caciocavallo dei Monti Picentini e alla Strada dei formaggi e dei mieli di Irpinia e siamo aperti a iniziative sociali e culturali con le scuole e il territorio, diffondendo la cultura del rispetto e della consapevolezza della terra».
Ma, come per ogni favola, anche quella di Adriana e Ferdinando non è tutta rose e fiori. Le ombre si addensano e chi tra i suoi compagni non è riuscito a mettere su un caseificio, difficilmente riuscirà a sostentarsi con il semplice allevamento a causa dei costi, della burocrazia e, soprattutto, della concorrenza dei grandi allevamenti del nord Italia e Nord Europa, che già oggi fa dumping e esporta il latte a 32 invece che 39 centesimi. «Un allevatore – sbotta Ferdinando – per un caffè dovrebbe portare al bar due litri di latte e non ce la fa! Dobbiamo sostenere gli stessi costi di un caseificio industriale e anche se il mio prodotto è al 100% bio non posso permettermi i costi di certificazione, inoltre, nel marzo 2015, ci sarà la liberalizzazione delle quote latte e non sappiamo come andrà a finire per noi piccoli». La questione, quindi, come al solito non è risolvibile solo nelle microdinamiche territoriali, ma va contestualizzata, resa di ampio respiro, perché il singolo non può più fare a meno di interagire in rete per la risoluzione delle problematiche.
APPROFONDIMENTO – BUROCRAZIA E CAMPAGNA CONTADINA
In tempi di crisi l’agricoltura può sembrare una via di uscita, ma è necessaria una pianificazione delle politiche calibrata sia sull’agricoltura industriale e sugli allevamenti intensivi delle pianure, sia sugli agricoltori veri, i contadini, custodi naturali delle nostre montagne e colline.
Quando si affronta la questione agricola nel meridione vanno fatte delle opportune distinzioni tra piccoli e grandi agricoltori e tra l’agricoltura delle aree collinari ed interne dell’Appennino e l’agricoltura intensiva, infrastrutturata praticata, ad esempio, nella Piana del Sele, Metapontino, Puglia. Bisogna, inoltre, prendere atto, al di là delle dichiarazioni di principio, che la Politica Agricola Comunitaria da decenni sta scoraggiando l’agricoltura mediterranea, sia chiedendo ai contadini di diventare imprenditori agricoli, sia favorendo aree limitrofe quali il Nord Africa – emblematiche le proteste dei produttori di agrumi in Sicilia – o la Turchia, per la quale, nel 2010, è iniziato l’iter comunitario che raddoppia il contenuto di aflatossine (muffe tossiche cancerogene) nella frutta secca, eliminando, di fatto, barriere all’ingresso che incideranno sul mercato delle nocciole irpine. Anche da noi, poi, vanno distinte le monocolture intensive come vigneti, noccioleti o castagneti – ognuna con problematiche diverse, da affrontare singolarmente – dall’agricoltura dei contadini, degli allevatori, delle aziende a conduzione familiare o cooperativa. Il piccolo contadino o allevatore di montagna, paradossalmente, in questi tempi di crisi, si trova ad avere un vantaggio competitivo nei confronti dell’agricoltura industriale, specializzata o intensiva che subisce una concorrenza globale: la qualità del prodotto e la possibilità di un mercato di nicchia e alta qualità. Eppure, al di là delle carenze distributive cui cerca di ovviare, spesso singolarmente o associandosi con difficoltà, il contadino viene poi soffocato da burocrazia, costi, tasse e poca attenzione nell’applicare la normativa comunitaria a livello nazionale. Esistono delle vie d’uscita, ma il primo passo è intervenire a livello legislativo. Ci sta provando Campagna Contadina, www.agricolturacontadina.org, che ha avviato nel 2009 una “Campagna popolare per il riconoscimento dei contadini e per liberare il loro lavoro dalla burocrazia”. Miriadi di associazioni hanno presentato in Parlamento una proposta di legge nel 2013 e conducono con difficoltà una petizione sostenuta da importanti realtà associative. Cosa chiedono? Che ai contadini sia permesso di lavorare la terra e distribuire i propri prodotti senza subire regole tributarie, sanitarie e igieniche gravose, inadeguate e slegate dal mondo contadino. Semplice no?
Il Mattino di Avellino del 12/01/2015. Virginiano Spiniello
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ARTICOLI SULLA PIANA DEL DRAGONE A VOLTURARA IRPINA
a) 4 Marzo 2014 Articolo su Il Mattino. Intervista all’idrogeologo Massimo Civita
a) 28 Gennaio 2014. Articolo su Il Mattino. Intervista al Sindaco di Volturara Irpina sul progetto per le fogne e il nuovo depuratore
b) 20 Gennaio 2014. Articolo su Il Mattino. Intervista a Maurizio Galasso e Giovanni De Feo sulla tutela e salvaguardia sulla bonifica
c) 19 dicembre 2013. Articolo su Il Mattino con Sabino Aquino sulla tutela e salvaguardia sulla bonifica e il lancio di un biodistretto agricolo.
d) 27 luglio 2011. Intervista su Il Mattino ad Antonio Paparo responsabile regionale AIAB per la creazione di un Distretto biologico nei monti Picentini e in Alta Irpinia
e) 10/05/2010. Intervista su Ottopagine a Giovanni De Feo e Maurizio Galasso sul delicato equilibrio della Piana del Dragone.
VIDEO
a) Il 15/11/2013 a Prima Linea, condotta da Enzo Di Micco, viene lanciato l’appello dal Forum Ambientale dell’Appennino, presenti Angelo Verderosa, Alessandro Iacuelli, Virginiano Spiniello. Qui lo stralcio dell’intervento in diretta dell’Assessore Luigi Meo
b) Il 13/12/2013 a Prima Linea una trasmissione apposita con interventi di Lello De Stefano, Presidente Alto Calore, Sabino Aquino, Idrogeologo Alto Calore, Marino Sarno, Sindaco di Volturara Irpina, Angelo Cristofano, Segretario Pd Volturara, Virginiano Spiniello, Forum ambientale dell’Appennino.
Prima Parte
Seconda Parte
c) 11 Dicembre 2011. TDI Acque d’Irpinia: Sorgente del Sele. Nei primi minuti Sabino Aquino illustra l’importanza del Bacino imbrifero dei Monti Picentini